Chiesa Santa Maria del Carmine
La Chiesa del Carmine, per la sua particolare ubicazione nel centro storico sipontino, pure nella semplicità delle linee architettoniche, irradia un fascino, un’emotività ed una sacralità pregnanti. E ciò sia perché il suo sagrato è palpitante di vitalità e sia perché il suo interno, uno scrigno che racchiude e conclude, seduce l’animo umano per l’impatto immediato che offre la raffigurazione della Vergine, posta sull’altare maggiore.
L’edificio, dall’apparente fattura moderna, rispetto ad altri posti nell’ambito del perimetro manfredino-angioino-aragonese delle mura cittadine, ha una connotazione di tutto rispetto nell’ambito delle tradizioni culturali sipontine, e specie il suo sito, che meritano di essere conosciute. Da Matteo Spinelli da Manfredonia si ha notizia che il Cardinal Arcivescovo Orsini (poi papa Benedetto XIII), avendo fatto collocare il Seminario nell’antico ambito dell’Ospedale S. Lazzaro (voluto da Federico II di Svevia), faceva trasferire questa in una
“…Casa Palazziata nella contrada di S. Lorenzo, addetta alla Congregazione laicale de’ Pescatori Sipontini eretta nella Chiesa di S. Elia sotto il titolo di Santa Maria del Carmine, essendo stata una tal casa lasciata alla suddetta Congregazione in Testamento nell’anno 1627 nel dì 4 luglio da Donato de Felice da Sansevero all’ora benestante, e commorante nella moderna Siponto.” (Matteo Spinelli)
Una testimonianza storica, allora, affatto trascurabile e che ben configura il fervore devozionale della nostra gente, e proprio in un periodo durante il quale si hanno disastrosi eventi politico-militari (il sacco turchesco dell’agosto 1620) o grandi calamità naturali (terremoto del maggio 1646). Una dedicatio, così, sentita e partecipata, un afflato corale ed una comunanza operativa per professare e testimoniare la fede, da parte del ceto marinaresco, il cui lavoro quotidiano è insidiato da pericolosità immanente.
La Chiesa pertanto è data le sue origini almeno ai primi anni del sec. XVII. Essa non era priva di opere d’arte, molte delle quali, volute da una categoria sociale “povera”, come la rifirisce lo Spinelli.